Paolo Interdonato

Il Fumetto Ai Tempi Dell’amore

Questo articolo è stato pubblicato nel 2009 in forma di percorso di lettura su “Portaletture”, sito dedicato alla promozione editoriale della Fondazione Mondadori. Nei dodici anni trascorsi da quando è stato scritto, alcuni dei titoli sono spariti e altri sono usciti in nuove edizioni. In quello stesso intervallo di tempo, tu sei diventato bravissimo a usare i motori di ricerca e i siti di commercio elettronico. Quindi mi scuserai se non ho aggiornati i riferimenti bibliografici, confidando nella tua capacità di trovare informazioni in rete.

Descrivere le vastità dei racconti a fumetti che ruotano intorno all’amore non è semplicemente ambizioso. È impossibile. Il solo territorio altrettanto esteso è, ovviamente, quello della morte. Non si può dimenticare, infatti, che lo sviluppo del fumetto industriale è avvenuto, tra il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo, sulla stampa periodica per attrarre, grazie al seducente potere delle immagini spesso colorate, masse sempre più vaste di lettori. La vocazione decisamente popolare di questa forma del racconto che mescola parole e immagini ha fatto sì che, negli anni delle origini e della formazione, le narrazioni ruotassero attorno a classi tipiche di protagonisti: i bambini, gli animali e – dal consolidarsi del fumetto avventuroso – gli eroi eternamente trentenni. Ed è stato proprio il “magnifico eroe”, con la sua prestanza fisica e il suo indomito coraggio, a divenire il ricettacolo principale delle tensioni erotiche e delle avventure rischiosamente letali. Anche perché raccontare, in fumetti destinati al pubblico più vasto, animali e bambini carichi di pulsioni verso amore e morte sarebbe apparso, agli occhi dei lettori, osceno e, conseguentemente, censurabile. Ed è interessante come, proprio mantenendo un saldo equilibrio tra candore e pudore, il fumetto popolare e di consumo (uso questa semplificazione, per distinguerlo dai prodotti di ricerca o più esplicitamente rivolti a un pubblico “adulto”) sia riuscito, nel tempo, a esprimere storie d’amore capaci di pungolare lettori diversissimi per età, estrazione sociale e formazione.

Dagli anni Sessanta, la presenza di avanguardie, ospitate da pubblicazioni meno visibili per le quali la sopravvivenza non dipendeva unicamente dal numero di copie vendute, ha consentito l’emergere di sesso e violenza su canali meno controllabili. I semi gettati da queste pubblicazioni, emerse con forme diverse (sotterranee, autoprodotte, distribuite usando canali alternativi a quelli della normale editoria), hanno poi investito anche le pubblicazioni mainstream, causando un’evoluzione delle forme e dei contenuti. Se, appunto, non è possibile neanche ambire alla mappatura del vastissimo territorio del fumetto d’amore, si può forse tentare di tracciare un itinerario: una proposta semplice, da viaggio organizzato, capace di connettere il fumetto industriale degli esordi ad alcune proposte più recenti e più elitarie (spesso solo nel formato di pubblicazione). Evidentemente, il tour operator ha esigenze di massimizzazione degli investimenti e di contenimento dei costi, e forse i suoi obiettivi non sono sempre trasparenti: potrebbe aver preso precedenti accordi con venditori e negozianti. Ed è anche vero che con un po’ di fatica si potrebbe pianificare una sequenza di tappe più divertente (e molto più vicina alle esigenze individuali). Ma quanto è piacevole lasciarsi andare, assecondando le scelte altrui, senza perdere il gusto della critica distruttiva.

Krazy Kat di Herriman

Il gatto Krazy, il cane Offisa Pup e il topo Ignatz sono i protagonisti del primo triangolo amoroso del fumetto. La storia, ridotta ai minimi termini, è molto semplice: il cane ama il gatto che ama il topo; il cane odia (ricambiato) il topo, che, forse, non ama il gatto, ma lo colpisce, ogni volta che riesce, con il suo mattone (la cui durezza è forse una metafora). Ma non basta il rapporto anomalo tra attrattori strani a raccontare questa striscia. Perché il lavoro di George Herriman, serializzato per trent’anni sui quotidiani statunitensi senza cadute di tono, esprime benissimo la natura del fumetto: un rapporto fortissimo e complice, quasi vero amore, tra parole e immagini. Un equilibrio fragile che tradisce la propria stabilità ogni volta che si tenta una traduzione: passando dalla lingua originaria a un’altra, le parole iniziano a cascare male sui disegni e tutto quello che era perfezione formale suona più rigido. Già, perché la giustapposizione complice di segni iconici e verbali funziona in Krazy Kat anche grazie alle storpiature linguistiche e ortografiche e al lettering (la scrittura nei balloon) acuminato e sghembo che fioriscono dalla bocca dei personaggi. E questa trasposizione sgrammaticata del parlato è una delle ragioni dell’amore che i lettori muovevano verso la striscia. Un linguaggio fatto apposta per suonare come la trascrizione fonetica di quella lingua aliena con cui si era venuti a contatto non appena sbarcati, pieni di speranza, a Ellis Island, tra ispanici, irlandesi, tedeschi, cinesi e italiani. E, da quel porto d’approdo, si giungeva in un mondo nuovo e sconosciuto e lo spaesamento era continuo. Proprio come avveniva (e avviene ancora oggi) guardando gli sfondi delle vignette di Krazy Kat, dove i vasti paesaggi di Coconino County vengono raccontati senza nessun vincolo di consistenza. Ogni inquadratura, ogni sguardo, è una sorpresa. La stessa sorpresa che colpiva l’immigrato disambientato. Rocce, deserti e cactus interrompono il loro flusso, fluido e inconsistente, solo per lasciare spazio al cubo di cemento della prigione, dove il cane rinchiude – immancabilmente – il gatto col suo duro mattone. La gatta innamorata, sotto, sospira.